Siamo noi stessi i limiti per i nostri sogni, al pari di quanto siamo noi stessi i geni che li potranno esaudire.

Roberta la Viola

Vuoi iniziare un percorso di miglioramento?

I contatti per prenotare o chiedere informazioni sono 377.53.63.173 o effettocoaching@gmail.com
La prima sessione è GRATUITA.

giovedì 22 ottobre 2015

Disorientamento

"Non studio non lavoro non guardo la tv non vado al cinema non faccio sport ..."

Così cantavano i CCCP in "Io sto bene" ma forse il vero fulcro della canzone e di questo pensiero era "io non so cosa fare".

Eh già, io non so cosa fare potrebbe essere il motto di buona parte delle generazioni contemporanee, come dire sopravvivo a questo stato di cose quando ho le idee chiare, quando riesco a vedere la mia volontà spiegarsi in un progetto.

Mi viene allora in mente un altro brano, ancor più recente, de Le luci della centrale elettrica: "E' solo un momento di crisi di passaggio, che io e il mondo stiamo attraversando 
E' solo un momento di crisi di passaggio che io e il mondo stiamo superando."

Si sente spesso dire che i giovani di oggi siano in balia di questo tempo storico ed economico che segna i ritmi della precarietà.
Ma quanto sia corretto definire questi naviganti giovani?
Che lo siano o meno, che ci si senta tali o meno, il vero cruccio è:
è solo il tempo a darmi questa instabilità o forse abbiamo smesso di chiederci cosa vogliamo, smettendo di sognare?

In Kung fu Panda la tartaruga saggia convince il suo discepolo, spingendolo a credere, credere di potercela fare, credere nelle possibilità, credere di essere ciò che si vuole al di là di ogni previsione o casistica. 
Così il grassoccio Panda diventa il guerriero dragone, che contro ogni pregiudizio e pronostico libera la Valle della pace dalla minaccia del cattivo di turno.  

Quale pronostico stai decidendo di superare e ignorare?
Qualunque sia il tuo punto di partenza, concentrati sull'arrivo e credici!


giovedì 5 marzo 2015

Poetessa romantica e sensibile cerca amorevole auditivo.

Quante volte abbiamo riso riflettendo sulle conseguenze di tutte le storie che ci hanno raccontato da bambine?

Mi riferisco a quelle storie romantiche, quasi da carie ai denti, che parlavano di principesse e principi, di amore e streghe cattive, annientate dall'unione tra gli amanti che si godevano il lieto fine.

La solita domanda, quasi retorica è: quante aspettative hanno creato,  di cui neanche siamo consapevoli?

Diciamo la verità, spesso le donne vivono quella strana sensazione di insoddisfazione, quella continua ricerca dell'uomo perfetto che tarda ad arrivare, come se nel suo tragitto verso la torre prigione vi siano molti più ostacoli e peripezie di quelle previste sul copione.

Tranquille, lui non è in pericolo, si è solo fermato a prendere una birra per ognuna delle osterie incontrate nel cammino.



Ok, lascio perdere le battute.

Certamente le aspettative, in ogni ambito, possono creare delle vere delusioni, se disattese.
Ciò nonostante, io credo che il punto sia un altro.

Ognuno di noi ha un suo modo di percepire la realtà circostante, ognuno di noi predilige un canale sensoriale per esperire gli stimoli che gli si presentano.

Per questo, nelle relazioni con gli altri e, con il nostro partner in particolare, si osservano maggiormente certi comportamenti, rispetto ad altri.

Faccio un esempio per semplificare:
la persona con cui sto, mi ripete in continuazione di amarmi, mi dice spesso parole d'amore e, verbalmente, dimostra senza reticenze il suo affetto per me.
Ciò nonostante, io vivo l'insoddisfazione, sento di non essere amata e continuo a ripetermi e ripetere "non mi fa mai regali, non mi abbracci mai, sono sempre io a chiederti baci ...".

Chi ha ragione dei due?

Nessuno, semplicemente ognuno di noi ha il suo canale preferenziale, l'uomo dell'esempio predilige il linguaggio verbale per esprimere i suoi sentimenti e questo sarebbe più efficace se avesse un partner auditivo, vale a dire che preferisce il canale dell'ascolto tramite l'orecchio, come dire un partner più sensibile alle parole che ai gesti.
Infatti, rimanendo nell'esempio, la donna ha proprio un'attenzione spontanea e maggiore sui gesti e tralascia ciò che invece percepisce attraverso l'udito.

Per questo nessuno ha torto e nessuno ha ragione.
Semplicemente, la coppia in questione viaggia su due onde diverse, non è quindi in discussione l'amore e tanto meno la dimostrazione dello stesso, piuttosto è la scelta comunicativa che rende insoddifacente il rapporto.

In altre parole, se entrambi avessero lo stesso canale preferenziale, non subirebbero certamente l'insoddisfazione o la convinzione di non essere compresi e gratificati dal rapporto con l'altro.

Allora si potrebbe pensare che, in virtù di questo, il partner vada scelto accertandosi che il suo canale preferenziale sia compatibile con il mio, prima di iniziare qualsiasi rapporto.

Tipo: poetessa romantica e sensibile cerca amorevole auditivo. Oppure: cenestesico passionale cerca cenestesica dolce e amorevole....

Insomma annunci ad hoc che facilitino le comprensioni e le comunicazioni future all'interno della coppia.

Ma anche che noia, non credo proprio possa essere questa la strada migliore, piuttosto credo che la comprensione e l'accettazione del canale preferenziale altrui possano essere un buon punto di partenza, per evitare incomprensioni, delusioni e aspettative disattese.

Ho scritto questo post, perchè spesso incontro coppie che, nonostante il profondo amore reciproco, vivono problemi di incomprensione nella quotidianità, che a lungo andare minano il rapporto stesso.

Auditivi, cenestesici e visivi all'ascolto, questo post è dedicato a voi, quindi a tutti.

Scoprire il canale preferenziale del vostro partner può essere una cosa molto utile per viaggiare a gonfie vele verso la vostra serenità sentimentale, ciò nonostante spesso non siamo neanche consapevoli del nostro canale, scoprirsi è facile ma a volte può essere utile l'intervento di un esperto che faciliti la comunicazione tra le parti.

Buon viaggio a tutti.

lunedì 2 marzo 2015

Indietro o avanti?

Tra le frasi che certamente ognuno di noi ha pronunciato, almeno una volta nella vita, c'è "se potessi tornare indietro".
Il seguito della frase può riguardare le più disparate soluzioni, scrivo soluzioni, in realtà l'impossibilità di tornare indietro ci dice che tali non possono essere.
Sarebbe più opportuno chiamarle occasioni mancate, o forse possibilità non considerate.

Il tempo, che strana dimensione, da secoli l'uomo ha cercato di misurarlo e tenerlo sotto controllo per orientarsi, da altrettanti anni si è fantasticato sulla possibilità di potercisi spostare a proprio piacimento, avanti e indietro, per poter modificare cose già accadute o per vedere quelle non ancora successe.

Come non ricordare la fantastica DeLorean di Ritorno al futuro?
Macchine del tempo e strumenti tecnologici non ancora in uso, ci hanno fatto fantasticare e continuano a farlo.
Così, se da un lato può essere interessante sognare di soluzioni utili a questo viaggio, dall'altro viviamo l'impossibilità di modificare ciò che non ci è piaciuto, ciò che abbiamo vissuto.




Allora credo sia importante ripensare quella famigerata frase e modificarla con un "se potessi andare avanti".
Avanti perchè mi serve spostarmi dal passato per raggiungere il presente.
Sì, perchè trovo inutile sforzarsi nel ripensamento di ciò che è stato, trovo inutile trovarsi a combattere qualcosa che non è qui ed ora.

Bisognerebbe guardare ciò che abbiamo di fronte, ciò che possiamo scegliere oggi.
Il rischio più grande è quello di collezionare altri momenti per i quali dire "se potessi tornare indietro", proprio perchè la distrazione del passato ci chiude gli occhi, nascondendo il presente.

Ognuno di noi sceglie per ciò che ritiene siano le possibilità a sua dispozione in quel dato momento, scelgo una cosa piuttosto che un'altra perchè ho la convinzione che sia la cosa migliore o l'unica possibile.
Quindi, perchè dannarsi nel modificare qualcosa che non c'è più, invece di concentrarsi su ciò che ho adesso, in questo preciso momento?

Guardo le possibilità che ho e scelgo per ciò che vedo.
Allora scelgo di andare avanti.

Ma cosa succede se ciò che vedo è nulla, nessuna possibilità o solo una?
La mia risposta è sintetizzabile in una parola: affrontare.

Questo post è dedicato a tutti, e soprattutto a chi rimane legato a qualcosa che non c'è più, suo malgrado, rinunciando alle mille possibilità che il presente gli sta donando.








giovedì 25 settembre 2014

Creativo o dispersivo?

Alzi la mano chi non ha mai pensato:"grande, questa idea è meravigliosa e risolverà un sacco di situazioni!"
Ognuno di noi ha vissuto, almeno una volta nella vita, la sensazione di quella idea-lampadina accesa e pronta ad illuminare ciò che poco prima era al buio.
C'è chi vive spesso questa sensazione, chi naviga nel mare creativo delle proprie idee.
Mi capita spesso di incontrare persone piene di energia e sopratutto di tante cose che vorrebbero realizzare, soluzioni, progetti lavorativi o progetti personali tutti caratterizzati dalla forte spinta creativa.

Il punto è che spesso dopo aver capito di aver a che fare con una mente molto creativa, subito dopo intravedo l'altra faccia della medaglia: la dispersione.



Certo, non è sempre così, non è detto che all'una si accompagni necessariamente anche l'altra caratteristica, ciò nonostante è abbastanza frequente che possano essere lì entrambe.

Qual è il punto o il problema?
 Avere tante idee è meraviglioso, è un ottimo segnale per intravedere la capacità della persona di attivarsi e trovare soluzioni, un segnale che dice: "ehi, stai conoscendo una persona che ha una mente attiva, creativa, una persona in movimento!"

Tante belle idee, tanta dispersione, come fare?

Se sentite di appartenere a questo tipo di persone, di avere questo modus operandi, di essere in grado di produrre idee facilmente ma poi con altrettanta facilità sentite la dispersione e l'incapacità di realizzarle, allora avete quella che qualcuno chiama la "sindrome del creativo-dispersivo".

Tranquilli, non è una patologia, è piuttosto un atteggiamento.
Non vi sto diagnosticando un male incurabile, piuttosto voglio proporvi qualche piccolo trucchetto che possa aiutare le vostre fantastiche idee a trovare la realizzazione.

David Allen dice che per lasciare la mente in uno stato creativo, bisogna tenerla il più possibile sgombra, come fare?
Scrivete le vostre idee, portate un taccuino con voi per trascrivere ciò che ritenete essere un valido spunto per un progetto.

Ma prima di qualsiasi altro passo, chiedete a voi stessi cosa volete.
Normalmente la persona dalle spiccate qualità creative, purtroppo a questo punto già un pò si potrebbe perdere nelle mille possibilità.

Allora, fermate un attimo questo flusso, e cercate in voi la risposta alla domanda: Cosa voglio veramente?

Bene, l'avete trovata?
Ora, quindi, scrivetela!
Tenendo a mente che la formula migliore prevede che ci sia "positività", esempio: "voglio trovare un lavoro che ...", "voglio aumentare il fatturato della mia azienda da x a y", "voglio migliorare il rapporto con ...".

Insomma, qualunque sia il progetto che vi è venuto in mente, scrivetelo, evitando negazioni.

Bene, ora sapete due cose fondamentali e utili al fine di realizzare il vostro progetto.
Sì, sì lo so, abbiamo detto che alcune persone hanno più idee e più progetti, bene, arriviamo al passo successivo:
prendete delle scatole che possano contenere i vostri appunti, tante quante sono i progetti che intendete realizzare.

Questo, a prescindere dal fatto che possiate essere creativi e dispersivi allo stesso tempo, agevolerà il vostro percorso.

Ogni volta che avrete prodotto un nuovo foglietto e quindi una nuova idea, potrete metterla nella scatola corrispondente al progetto cui si riferisce.

In sintesi ora sapete che:
1. un taccuino vi aiuterà a non disperdere energie e idee, e
2. domandarvi cosa volete veramente è il passo che vi aiuterà a cestinare le idee che al momento non vi serviranno., ma scrivetele comunque sul taccuino, potranno tornarvi utili per altri progetti.
3. avere dei contenitori di idee e questo vi aiuterà ad ordinarle.

Ultimo punto:
 ricordate di controllare la quantità di bigliettini presenti nelle singole scatole, lasciarle lì per troppo tempo equivalrrebbe al non aver fatto nulla.
Quindi, stabilite un tempo per voi adeguato, che vi impedisca l'abbandono delle vostre idee, per visionare e rileggere ciò che avrete prodotto.

In alcuni casi scoprirete di avere già tutto pronto per concretizzare, quindi non vi rimane che procedere con l'azione!

Buon lavoro.

P.s. le scatole, per i più tecnologici, potranno essere anche file gestiti in cartelle su un dispositivo elettronico.

venerdì 23 maggio 2014

Chiodo scaccia chiodo

Quanto tempo perso, quanto, a volte, ci blocchiamo nella ricerca di qualcosa che poi alla fine si rivela importante, ma soprattutto inutile?

Faccio così perchè me lo hanno insegnato ...
Faccio questa cosa perchè con mio fratello non potevo comportarmi diversamente, altrimenti ...
Mi sono abituato a questa cosa e ormai non riesco a fare diversamente...

Bla bla bla, troppi giri, troppa energia sprecata per spiegare a noi stessi come siamo arrivati ad un certo punto;  riconosciamo che non ci piace o, peggio ancora, non ci fa stare bene, però ci raccontiamo che non possiamo fare diversamente.

Balle!
Possiamo fare diversamente, dipende da noi, come vi sarete abituati a leggere, c'è sempre una bella notizia.
Eccola: le abitudini funzionano come il famoso detto "chiodo scaccia chiodo".

Volete smettere di fare quella cosa che vi danneggia?

Bene, se lo volete davvero, la cosa che potrete fare è iniziare con qualcosa che vi faccia stare bene, le abitudini si eliminano innanzitutto con nuove abitudini.
Dipenderà da voi iniziare e dipenderà da voi continuare, con costanza, al fine di installare nel vostro software una nuova app, una nuova abitudine.

Siete pronti?

Cosa c'è, la vecchia non vuole andare via, rimane attaccata a voi?
E' possibile, dovrete solo iniziare ...


Chiodo scaccia chiodo, scegliete il nuovo, che vi fa stare bene, ed eliminate il vecchio.
Giocate, sperimentate, è sempre il tempo di mettersi in gioco, siete vivi e questo vuol dire che potrete scegliere.

Smentitevi, scoprite qualcosa che neanche immaginavate. Divertitevi!

Grazie a L., che pensa di chiedere il mio aiuto e invece lei aiuta me, aprendo i cassetti della memoria che liberano l'ispirazione.

Il coaching in azienda.

Ho scritto tanto in questi mesi, o forse anche poco.
Oggi ho riflettuto sul fatto che questo sito sia nato per rispondere a diverse esigenze.

Come ho spesso scritto, mi capita di dover spiegare cos'è il coaching, e questo mi ha portato a concentrare le energie sulla descrizione di questo tipo di approccio, focalizzandomi più sul lavoro di consulenza individuale, ossia quello che mi porta a lavorare con le persone che si rivolgono a me in studio.
Proprio questo aspetto mi ha fatto tralasciare un altro tipo di informazione relativamente alla mia professione.

Il coaching è un approccio che viene utilizzato non solo nella relazione d'aiuto con il singolo cliente o con piccoli gruppi come coppie o famiglie, il coaching si applica molto bene anche alla realtà aziendale, di qualunque tipo si tratti.

Le domande che arrivano più spesso sono: quali aziende possono trovare beneficio da un approccio del genere?
O ancora, e questa suona più come un'affermazione: Ma sono certamente le aziende di una certa grandezza a richiedere consulenze di questo tipo!?!

Spesso ci soffermiamo a fare distinzioni sui settori in cui un'azienda opera, e questo è certamente utile, può però portarci a perdere un aspetto fondamentale: le aziende sono fatte da persone.



In quest'ottica il settore di riferimento poco conta, le dinamiche che si innescano, le problematiche, eventualmente riscontrabili, riguardano la sfera delle relazioni umane e, proprio per questo il settore non è un aspetto fondamentale, ma semplicemente un dato che può essere importante.

Allora l'obiettivo di questo post è proprio quello di rispondere a domande come:
Perché un'azienda dovrebbe richiedere l'aiuto di un coach?
Come si applica il coaching nelle aziende?

Meravigliosamente!
E' certamente questa la prima affermazione che viene alla mente.
Volendo esplicitare il concetto, il coaching può essere utilizzato come unico approccio sia in colloqui di gruppo che individuali, può riferirsi agli obiettivi aziendali in genere, alla mission e alla vision di un'azienda, ed anche agli obiettivi della singola area o della funzione del ruolo ricoperto dalla singola persona.

Può essere affiancato ad altri approcci, che contribuiscano a migliorare i risultati e ad accelerare i processi di cambiamento, ed il primo è certamente quello della formazione.

Ho infatti sperimentato che quando si ha la possibilità di programmare i due tipi di intervento nel medio e lungo termine, con costanza, dedizione e il coinvolgimento dell'intero organico, i risultati non solo arrivano, ma lo fanno anche presto.

Perché un'azienda, a prescindere dalla sue dimensioni o dal settore in cui opera, dovrebbe richiedere l'aiuto di un coach?

. Perché spesso per realizzare il proprio sogno, il proprio obiettivo, c'è bisogno di qualcuno che ci  aiuti a focalizzarlo meglio.
. Perché certe volte l'imprenditore è talmente "dentro" la sua situazione, il suo contesto, che qualcosa può sfuggirgli e, alla lunga, anche disorientarlo.
. Perché le persone, quando stanno bene, lavorano meglio.
. Perché un coach può facilitare e agevolare i percorsi di cambiamento, anche quando questi si rivolgono alle carriere, o a cambiamenti cui l'azienda è sottoposta perché spinte esterne del mercato glielo impongono.
. Perché, a volte, le relazioni interne, quelle tra le varie funzioni aziendali, possono complicarsi e occorre qualcuno che possa aiutare le parti per arrivare ad un dialogo costruttivo.

Insomma, i perché sono davvero tanti.
Non è un caso che sempre più aziende decidano di trovare una persona che possa aiutarle nel difficile ruolo che sono tenute a svolgere ogni giorno, quello di realizzare ciò per cui sono nate, anche in un tempo in cui fare azienda, e confrontarsi con il mercato, è una sfida da vivere ogni giorno.

Un coach, può aiutare la rifocalizzazione degli obiettivi, proprio quando questi sono messi a dura prova dalle varie situazioni che l'imprenditore e i suoi collaboratori sono tenuti ad affrontare ogni giorno.
Quando la prontezza viene a mancare, può essere che sia venuta a mancare anche la serenità e certamente c'è un'area su cui bisognerà intervenire.




Spero che questo pezzo del puzzle, che oggi aggiungo, possa aiutare chi riserba dei dubbi sul coaching e sulle relazioni d'aiuto in genere.

giovedì 22 maggio 2014

Uno, due e ... tre!

Capire di non essere "dei", capire che da genitori, così come da persone, non siamo invincibili.
Siamo vulnerabili, siamo alla ricerca della cosa giusta o sarebbe meglio dire della cosa migliore possibile.

Quando diventiamo genitori siamo esposti alle nostre mille contraddizioni, più che in altre circostanze, in altre situazioni, vestiamo il ruolo che noi stessi ci siamo assegnati, e spesso dimentichiamo di essere, prima di qualsiasi altro ruolo, delle persone.

Lavoro spesso con coppie che hanno intrapreso questo impegnativo percorso, quello della genitorialità.
Troppo spesso, le problematiche della coppia nascono dall'essersi dimenticati alcune verità basilari:
. la prima, è proprio quella di essere delle persone;
. la seconda, quella che, pur nella nostra individualità, siamo in coppia e non una coppia.

Dimenticarsi di essere una persona e ricordarsi solo del ruolo che si ricopre, significa dimenticarsi delle proprie esigenze, dei propri desideri, dei progetti che da tempo speriamo di realizzare.

Dimenticarsi di essere in coppia, significa non dedicarsi più il tempo necessario per confrontarsi, scoprirsi, conoscersi, litigare, discutere, amarsi, ...
Quando una terza vita si aggiunge alle due, che già esistevano, si è talmente concentrati e sorbiti dalle nuove esigenze che incombono, che si ha la sensazione di non vivere quasi più neanche per se stessi, figuriamoci per l'altro, ma si ha solo tempo e occhi ed energia per quell'esserino che è da poco giunto.

Eppure il mio invito è: ricordatevi che quell'esserino ha bisogno di voi, del vostro essere persona, del vostro essere in coppia, della vostra responsabilità di genitore neo-nato, ma anche di tutta la vostra energia.
Più questa sarà pulita, più quel piccolo extraterrestre godrà della vostra presenza.

E' certamente vero, avete meno tempo per vivervi personalmente e per vivere in coppia, allora giocate il gioco della qualità.
Quel tempo che ritaglierete per voi sarà poco, sì, ma può essere intenso, anche se ciò che deciderete di fare sarà bere un bicchiere di vino e chiacchierare.

So bene che qualche genitore potrà pensare "Magari! La fai facile."

In realtà, mi piacerebbe che ne vedeste la possibilità, che possiate concedervela.
Dipende da voi, e un pò anche da quel piccolo esserino che è entrato a pié pari nella vostra vita.
Ma vedrete che la godibilità della vostra energia "pulita", quella che rimetterete in campo, sarà splendida per chiunque entri in contatto con voi.

Domande:
. da quanto tempo non programmate un'uscita a due?
. Da quanto tempo non preparate una cenetta, anche casalinga, dove i protagonisti siano voi e il vostro compagno/a?
. Da quanto tempo non uscite con un amico o amica, per sentirvi che siete uno, prima di essere due e poi tre?

Non importa il numero dei giorni, mesi o anni incluso nelle vostre risposte, ciò che importa è:
per voi, il tempo riportato nelle vostre risposte, è troppo?

Allora è il momento di programmare qualcosa che vi aiuti a rigenerarvi.

In ogni caso, se il ruolo che avete deciso di ricoprire, quello del genitore, a volte vi sembra una sfida che al momento non state affrontando al meglio, vi consiglio un ottimo libro per confrontarvi e migliorarvi:


                                                    Buona lettura.

giovedì 15 maggio 2014

Sì lo voglio. No, no, non lo voglio più!

Lo voglio, non lo voglio, ma poi lo rivoglio e poi ancora ....

Un circolo infinito, penso che vorrei fare una cosa e che mi aiuterebbe farlo, poi un attimo dopo sono certa che non sia affatto così, piuttosto che sia vero il contrario.

Una corsa infinita a rincorrere la propria verità: voglio o non voglio farla sta cosa?

La domanda che continuo a pormi è proprio questa e la risposta non arriva se non per 5 minuti, e poi tutto da capo.

Che non sia la domanda a farmi fare questo giro infinito?
Spesso la domanda non è posta nel modo migliore, ciò che mi sto domandando non risolve il mio dubbio, la mia indecisione.

Chiedersi: mi è utile? a volte può aiutarci ad uscire dal loop, reiteriamo comportamenti che non ci sono utili, eppure continuiamo a proporli.




Se ci domandassero perchè lo facciamo, risponderemmo, molto probabilmente, che siamo abituati così.

Ma non è per niente vero che un' abitudine sia necessariamente sana, piuttosto spesso ci abituiamo a cose che non ci fanno bene.

Allora la domanda è: qual è la vostra abitudine? Qual è quella abitudine che continuate a proporre a voi stessi, col vostro comportamento,  che proprio non vi aiuta a stare meglio?

L'avete trovata?

Potrebbe venirvi spontaneo chiedervi il perchè l'abbiate acquisita, io vorrei proporvi invece di chiedervi se vi è utile.
 Rinunciate, per un pò, al ritorno al passato con il famigerato perchè, andate al passato con una domanda nuova:
in quali situazioni avete attuato quella abitudine, quel comportamento?
E poi:
in quali di queste avete riscontrato l'utilità di quella azione?
In altre parole:
Vi ha fatto bene vedervi in quell'azione?
Come vi siete sentiti e come vi sentite quando ci ripensate?

Dietro queste domande c'è la risposta che cercate, ora potrete ri-chiedervi: voglio o non voglio farla sta cosa?

Cambiare è possibile, purchè lo si voglia. Migliorare è utile per stare bene con noi stessi, prima che con gli altri.

mercoledì 12 marzo 2014

Parole, parole, parole.

Quante ne diciamo, ci riempiamo la bocca di tante parole.
Ogni famiglia ha le sue dinamiche di comunicazione, ogni famiglia ascolta in un determinato modo e, soprattutto, ogni famiglia interpreta in un certo modo.
Quando dico "famiglia" intendo anche qualsiasi gruppo consolidato come tale, in qualunque settore sia inserito, in qualsiasi ambito della vita, che sia un gruppo di lavoro, piuttosto che uno di amici.
Quando frequentiamo qualcuno in un certo modo, quando il rapporto è consolidato e duraturo, spesso mettiamo insieme una serie di abitudini che diventano caratteristiche del nostro stare in relazione e quindi anche del nostro comunicare.

Ci sono famiglie che usano spesso il sarcasmo per dirsi ciò che pensano, altre che in maniera compita affrontano qualsiasi situazione, altre ancora non riescono ad esprimersi se non utilizzano toni decisamente alti.
Insomma, ognuno ha il suo modo e riconoscerlo facilita la relazione.
Riconoscerlo significa anche essere consapevoli che non ci si sta arrabbiando o non ci si sta insultando o qualsiasi altra cosa, ma semplicemente sapere che quella è la modalità di comunicazione che contraddistingue quel gruppo.

Sto parlando di parole e in realtà vorrei tanto dire ascolto, eh già, perché questo riconoscimento in realtà, questa consapevolezza, avviene proprio quando la persona si è  fermata ad ascoltare il proprio gruppo, quando nel fermarsi in silenzio si è osservato e riconosciuto il carattere che lo contraddistingue.
Eppure ascoltare è forse la parte più difficile del processo comunicativo.



Un'amica giorni fa mi ha aiutato a ricordare un aspetto molto importante che interviene mentre siamo convinti di ascoltare il nostro interlocutore, ciò che facciamo mentre siamo lì in silenzio è parlare.
Non sono impazzita, parliamo a noi stessi, mentre qualcun altro al di fuori sta indirizzando messaggi a noi, siamo lì in silenzio, ma solo apparentemente, ciò che stiamo facendo è "leggere la mente", quella di chi sta parlando a voce alta, esprimendo qualcosa indirizzata a noi.

Pensateci un attimo, qualcuno vi dice qualcosa, e mentre lo fa voi state già pensando alle marmotte che incartano il cioccolato, vi state dicendo "cosa avrà voluto dire?" o anche "chissà cosa c'è dietro?".
Ebbene questo è leggere nella mente altrui, o essere convinti di poterlo fare, prima ancora che l'altro abbia terminato di esprimersi.
Come dicevo è un processo che più o meno tutti nella vita attuiamo, anche perché in qualche modo vediamo la comprensione legata all'interpretazione e proprio il vederle legate spesso ce le fa confondere.

Quindi, pensiamo di comprendere il  messaggio del nostro interlocutore mentre invece lo stiamo interpretando.



Poco tempo fa ho avuto a che fare con una coppia di genitori, preoccupati per il proprio figlio e impegnati nel salvaguardare il suo futuro, a parte tutto il resto e le dinamiche osservabili, ciò che mi ha colpito intensamente è stato proprio il loro modo di comunicare, anzi di ascoltare-interpretare lo stato d'animo del figlio, le sue possibili intenzioni.

Ho scoperto, nel confronto con loro, che sono stati sempre molto disponibili e pronti a risolvere le problematiche del figlio, il punto cruciale però è che quasi mai lo hanno ascoltato, mentre troppo spesso lo hanno interpretato.

Quindi, i problemi di chi hanno cercato di risolvere?

Pensateci un attimo, quanta energia investiamo nell'interpretazione, che poi non sempre si rivela corrispondente al pensiero altrui?

E quanta ne risparmieremmo se, anziché ascoltare-interpretare, ascoltassimo-comprendessimo il nostro interlocutore?








lunedì 10 marzo 2014

Rassegnazione

Ecco la ParolaNuda: rassegnazione

La Treccani la spiega con le parole che seguono: Accettazione della volontà altrui anche se contraria alla propria; disposizione dell’animo ad accogliere senza reagire fatti che appaiono inevitabili, indipendenti dal proprio volere.

Mi piacerebbe soffermarmi proprio sulla seconda parte.
Mi è capitato negli utlimi giorni di occuparmi di colloqui di selezione e, purtroppo, ho riscontrato che buona parte dei candidati presentatisi al colloquio ha negli occhi e nelle parole proprio quello stato di rassegnazione che fa rinunciare e non lascia intravedere possibilità.
Proprio questa esperienza mi ha fatto pensare che ci si è rassegnati a tal punto che ogni settore viene definito come il più maltrattato dalla crisi, ognuno esprime il proprio parere a riguardo, con un fattore comune che contraddistingue in maniera evidente ogni parlante, come se vi fosse un marchio di fabbrica, un marchio che dice RASSEGNATO!
Rassegnato all'impossibilità di trovare lavoro, rassegnato all'idea che non è possibile desiderare il lavoro ideale, rassegnato all'idea che il territorio non aiuta, rassegnato all'idea che non ci è dato di progettare, insomma "rassegnato e basta".


Voglio provocare, voglio smuovere questi animi, voglio vederli impegnati nella ricerca di soluzioni possibili.
Ne ho parlato spesso in queste pagina, la chiarezza degli intenti, la capacità di saper decidere.
Spesso durante il colloquio chiedo: "cosa vuole fare da grande?"
Le maggiori risposte che ottengo iniziano così: "io avrei voluto fare ...".
Eppure io ho chiesto "cosa vuole fare" e non "cosa avrebbe voluto", allora mi accorgo che pieni di rimpianti ci muoviamo nel mondo della rassegnazione a tutti i costi.
Ci affidiamo ai consigli di altri, ci scopriamo rinunciatari a priori, lontani dalla possibilità di sperimentare direttamente, alla fine rimpiangiamo anche l'aver seguito il consiglio ricevuto.
Una volta è la scuola, una volta è l'università, un'altra ancora il trasferimento per lavoro o il lavoro stesso.
Allora chiedo in questo momento: a cosa ci serve la rassegnazione?
Dove mi può portare?
Cosa aggiunge questo stato, se non la certezza di non uscire e non riuscire?
La sicurezza di non vedere possibilità alcuna.
Se le vostre parole denunciano la vostra stessa rassegnazione, ri-prendetevi, progettate, sognate e liberatevi dai limiti che avete posto a voi stessi.
Chiedetevi ancora cosa vi piacerebbe fare e programmate le azioni per farlo, proprio nei post precedenti abbiamo affronato il tema della chiarezza degli obiettivi e delle tre domande che aiutano a stabilire il percorso da intraprendere:
Cosa?
Come?
Quando?

La bella notizia è che anche la durata di uno stato d'animo come la rassegnazione dipende da noi, comprendere l'inutilità è molto utile, smettere è questione di scelte.

C'è anche un'altra bella notizia, ho incontrato tante persone in questi giorni, e non tutte mi hanno trasmesso la rassegnazione, molte altre mi hanno fatto vedere la volontà, la determinazione a fare meglio e la capacità di programmare il proprio futuro pur consapevoli delle difficoltà.
Del resto, se il territorio di provenienza è lo stesso, quello delle tante persone incontrate, come mai c'è chi vive la rassegnazione e chi invece la vince?

L'esperienza non è ciò che accade a un uomo. È quello che un uomo fa con ciò che gli accade.
                                                                                                                      Aldous Leonard Huxley 

da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/aforismi/comportamento/frase-49594>